L’opera e il suo sommario
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sommario. Francesco Sansovino a Iacopo
suo figliolo (cc. *2r-*3v); A lettori (cc. *4r-*6r); Dell’ortografia;
Ortografia delle voci della lingua volgare, usata da buoni scrittori, con
la copia di più vocaboli insieme di un medesimo significato, accompagnati
dal suo latino (cc. A1r-Ee5v).
l’opera. Sansovino pubblica la Fabrica del mondo dell’Alunno nel 1560 e nel 1568, in questo
secondo caso dichiarando di aver fatto anche aggiunte e correzioni: si
spiega in tal modo il legame ineludibile del suo vocabolario con l’altra
opera, pur dovendosi intendere come un confronto autonomo e non una
pedissequa imitazione o dipendenza. L’autore si rivolge a un potenziale
lettore settentrionale e quindi si preoccupa soprattutto di dissipare dubbi
ortografici e di pronuncia, correda le sue voci di indicazioni sull’uso
delle vocali e delle doppie (“Abate per b & t semplice”; “Anitra per i non
per e”), presentando un lemmario ridotto rispetto alla Fabrica. Aveva scritto Sansovino nelle Osservationi della lingua volgare (1565, c. 301r): “Voglio che
lo studioso habbia innanzi l’Osservationi del Petrarca fatte dall’Alunno,
la Fabrica e le Ricchezze pur del medesimo”, ma egli avvertiva anche che
“l’Alunno commesse gravissimi errori nell’interpretationi di molti
vocaboli” come avrebbe voluto col tempo dimostrare. Cambiate esigenze e
finalità non si considera più solo la lingua letteraria, e non solo il
Trecento, ma anche opere moderne - come mostra la scelta dei lemmi - e
l’uso dei parlanti toscani, indicato nelle espressioni “dice il Fiorentino”
oppure “dicono i Thoscani [...] con e chiuso”. Nel definire la sua idea di
lingua il Sansovino cita, nell’introduzione, Bembo, Tolomei, Della Casa,
Guidiccioni, il Caro, Trifone Gabriele e Dolce come modelli di scrittura
ancor più del Petrarca, contro l’imitazione del quale pesano soprattutto, a
suo giudizio, alcune grafie latineggianti disusate.
Il lemmario, tipizzato quasi sempre, è
scelto apparentemente con un criterio di frequenza d’uso, ma in realtà con
una certa casualità: su una base - potremmo dire substrato - del fiorentino
trecentesco (“Ancidere] occido, perimo. Voce provenzal, & usata da poeti Thoscani”) si poggia il riferimento al tosco-fiorentino moderno. Per le
definizioni si nota l’assenza di vere e proprie citazioni d’autore, altro
elemento di novità rispetto all’Alunno. I settentrionalismi, che nell’altro
comparivano solo per spinta della propria abitudine linguistica, qui
vengono segnalati e distinti, per cui assumono un esplicito e più rilevante
valore esplicativo, anche per la costante distinzione tra “lombardo”
(“Anitra [...], Anara dicono i lombardi”), veneziano (“Asse per s dop.]
Assi, Tabula, Tavola di legno. Tola dicono i Vinitiani”), bolognese e, più
raro, romano. La compresenza di termini desueti attinti dalla tradizione
letteraria (“speglio” per ‘specchio’) e di una lingua dei tempi dell’autore
con le sue varietà, non più nascosta ma esibita, dà all’opera un’immagine
composita e multiforme: d’altronde il Sansovino aveva parlato anche nella
lettera dedicatoria al figlio Iacopo di uso, a quel che sembra, e di
scrittori insieme: “Adunque tu harai in questo picciolo libricciuolo per
ordine d’alfabeto, tutte overo in gran parte quelle parole che comunemente
si costumano per ogniuno col suo riscontro Latino. Et oltre a ciò [...] ci
troverai dentro un’abbondante copia di Locutioni variate & diverse, le
quali sono scelte da perfetti & antichi maestri di bella scrittura” (c.
2v).
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